Nel 2020, durante la pandemia, il teatro è stato definito un’“attività non essenziale”. In Francia, in Europa e un po’ ovunque nel mondo, i governi si sono trovati d’accordo su questa posizione: non essenziale. La domanda è più che legittima: l’atto teatrale è ancora necessario per la costruzione di una società aperta e democratica? Oppure siamo noi, artisti drammatici, a suonare come i musicisti che intrattengono i passeggeri di prima classe mentre la nave affonda?
Un modo per rispondere sarebbe decostruire il dispositivo teatrale dalle sue fondamenta, mettendolo di fronte ai suoi limiti e alle sue responsabilità. Tornare alle radici di questo rito laico e collocarlo — senza artifici, senza macchine — là dove si gioca il futuro del vivere insieme. Confrontarlo con la brutalità del reale, spogliandolo del conforto di una sala teatrale, e reimparare — attraverso la scuola della relazione sensibile che il teatro ci offre — il valore del “politico” nel senso greco del termine: ciò che ci lega gli uni agli altri. In questo senso, prima di essere una riscrittura e una messa in scena di una tragedia antica, Il gesto di Antigone è un processo di ricerca sulla possibilità di “fare società” — oltre le lingue, le identità e i confini — attraverso gli strumenti semplici del teatro.